Luca Brusamolino, Ceo di Workitect, ci parla di smart working, dei suoi effetti e del suo futuro.
Prima della pandemia pochi lavoratori conoscevano lo smart working o accedevano in misura stabile al lavoro da remoto. Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano quest’anno durante la fase più acuta dell’emergenza lo smart working ha coinvolto il 97% delle grandi imprese, il 94% delle PA italiane e il 58% delle Pmi. Abbiamo commentato questi dati con Luca Brusamolino, Ceo di Workitect, Smart Working Coach e Co-Founder dello Smartworking Day, che da anni si occupa di consulenza alle aziende nei processi di workplace change e di lavoro agile.
È davvero così o quello che molte aziende hanno adottato è solo un ibrido?
Lo smart working inteso come modello organizzativo che propone autonomia nel lavoro dipendente a fronte del raggiungimento di un risultato finale è utilizzato solo da alcune aziende medie e grandi in Italia. La pandemia ha sicuramente accelerato la digitalizzazione, ma quello che hanno sperimentato i lavoratori di aziende private, piccole e medie, e i dipendenti pubblici in questo periodo è un diverso modo di lavorare, il lavoro da remoto o telelavoro che dir si voglia, appunto. Questi costituiscono solo una componente dello smart working il quale presuppone e richiede un’evoluzione sostanziale e più profonda dei modelli organizzativi aziendali.
Secondo lei perché non si utilizzava tanto lo smart working prima della pandemia da Covid-19?
Principalmente per tre motivi: in primo luogo, a causa dell’arretratezza tecnologica delle imprese italiane. Non parliamo di avere applicazioni di tecnologie avanzate, quello che spesso manca nelle imprese sono le basi su cui si poggia la condivisione del lavoro, ovvero una buona connessione internet. In secondo luogo non tutti sanno utilizzare gli strumenti della tecnologia, come ad esempio compilare un calendar condiviso e infine c’è un problema culturale. La maggior parte delle PMI italiane sono imprese padronali e la pandemia ha sicuramente minato la loro organizzazione e lo stile di leadership su cui si basano e che non prevedono il lavoro da casa ma un controllo a vista dei collaboratori. Questo è stato ed è tutt’ora l’ostacolo più alto da superare. Ora, a seguito della pandemia, l’esperienza di lavoro a distanza ha aperto interessanti prospettive e sono molte le realtà che si interrogano se proseguire con il lavoro da remoto. Indietro non si può tornare, per questo è importante trovare un nuovo equilibrio.
Il lavoro agile resisterà all’emergenza sanitaria? Serve ancora l’ufficio?
Assolutamente sì! Alla domanda “cosa ti manca di più da quando vivi in quarantena e lavori a casa”, studi recenti hanno dimostrato che per alcune tipologie di lavori gli aspetti che più mancano sono la vicinanza con i colleghi, la condivisione di esperienze, la socialità, non intesa come scambio di chiacchiere, ma come relazioni, essere nello stesso ambiente. Quello che bisogna ripensare quindi è lo spazio dell’ufficio, creando ambienti differenti in base all’attività da svolgere, per migliorarne l’esperienza di chi lavora. Ovviamente anche il design diventa determinante. Ecco vivere l’ufficio come esperienza. E Las ha tutte le caratteristiche e competenze per fare in modo che l’arredo diventi un buon motivo per andare in ufficio. Probabilmente non andremo tutti i giorni, solo due o tre volte alla settimana, quando ne avremo bisogno.
Dal punto di vista sociologico, quali sono gli effetti dello smart working?
Dal punto di vista sociologico dobbiamo tener conto che abbiamo passato mesi di confinamento sociale, quasi un anno obbligati a stare a casa e per chi ha lavorato da remoto non è stato affatto semplice, ha dovuto affrontare forti disagi soprattutto se in casa si era tutti insieme. Ma lo smart working inteso come responsabilizzazione dei dipendenti non può che migliorare le condizioni lavorative. Pensiamo ad esempio che viene meno il fenomeno del pendolarismo, il centro si svuota e a beneficiarne è anche la città che dovrebbe, anch’essa, essere ripensata nei suoi spazi rispetto a quanto siamo abituati a concepire.